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Dalle origini all'Impero

Sito: Meta-Apprendisti
Corso: Liceo Italiano IMI di Istanbul (classi seconde)
Libro: Dalle origini all'Impero
Stampato da: Utente ospite
Data: domenica, 5 maggio 2024, 10:54

1. La fondazione di Roma

Anno di fondazione

Secondo la leggenda, la fondazione di Roma a metà dell'VIII secolo a.C. si deve ai fratelli Romolo e Remo, nonostante il prevalere del primo sul secondo. 

La data ufficiale, 21 aprile del 753 a.C., venne stabilita da Marco Terenzio Varrone calcolando a ritroso i periodi di regno dei re capitolini (35 anni circa per ogni re). Altre fonti in realtà riportano date diverse.

Testimonianze archeologiche 

In analogia a quanto accadeva in tutta L'Italia Centrale,  le origini della città si devono ad una progressiva riunione in un vero e proprio centro urbano dei villaggi sorti sui tradizionali sette colli (fenomeno detto Sinecismo - "vivere insieme"). Si trattava di insediamenti dell'antica popolazione dei latini cui si aggiunsero i sabini provenienti dalle montagne dell'alto Lazio, e nuclei di mercanti ed artigiani etruschi.


Territorio

La località presentava ampie zone pianeggianti presso il Tevere, punto di intersezione di due importanti direttrici commerciali. 

La prima direttrice commerciale andava dalla costa alle zone interne della Sabina lungo la valle del Tevere, ed era utilizzata per l'approvvigionamento del sale, indispensabile per le economie agricole interne: corrisponde alla via Salaria di epoca storica. 

La seconda era rappresentata dall'itinerario che andava dall'Etruria alla Campania, su cui transitavano altre due preziose merci: il ferro e gli schiavi. 

Inoltre, il Tevere stesso era una via commerciale, utilizzata per il trasporto del legname proveniente dall'alta valle tiberina. Alla base della futura espansione di Roma, quindi, c'è anche la sua posizione strategica che già in età arcaica la rendeva un importante emporio commerciale.


2. Età monarchica

I primi quattro re

I primi re sono generalmente considerati come figure prettamente mitologiche.

La tradizione attribuisce ad ogni sovrano un particolare contributo nella nascita e nello sviluppo delle istituzioni romane e dello sviluppo socio-politico dell'Urbe. 

  1. Il primo re e fondatore fu Romolo, che avrebbe dotato la città delle prime istituzioni politiche, militari e giuridiche.
  2. Numa Pompilio, il secondo re, è un nome tipicamente italico, di origine osco-umbra. La leggenda lo vuole creatore delle principali istituzioni religiose, tra cui i collegi sacerdotali e istituì anche la carica del pontifex maximus, nonché la suddivisione dell'anno in dodici mesi e la precisa regolamentazione di tutte le feste e le celebrazioni, precisando i giorni fasti e nefasti
  3. Il terzo re, Tullo Ostilio, succeduto subito al precedente, sconfiggendo i Sabini, inizia l'espansione territoriale nel Lazio. 
  4. Il successore Anco Marzio ne proseguì l'opera fondando la prima delle colonie, ossia Ostia.

I re etruschi

L'esistenza storica in particolare degli ultimi tre re (Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo) pare essere accertata, sebbene sia possibile che i due Tarquini siano una duplicazione di uno stesso personaggio. Sotto questi sovrani, la città entrò nell'orbita etrusca ed ebbe una straordinaria fioritura oltre che una forte espansione territoriale.
Viene organizzato anche il sistema elettorale attraverso le curie 

L'ultimo re venne cacciato nel 509 a.C., secondo la tradizione a causa dei suoi atteggiamenti arroganti e del disprezzo verso i suoi concittadini e verso le istituzioni romane: si tratta probabilmente delle conseguenze del decadere della potenza etrusca, della quale Roma approfittò per conquistarsi una maggiore autonomia.

Ordinamento

Al tempo della monarchia, il re veniva eletto dal Senato (autorevole consiglio di anziani). Il re governava ed esercitava il potere politico, giudiziario, militare e religioso. La religione era politeistica e naturalistica (divinità dei campi, dei boschi, delle greggi).

Gli abitanti di Roma erano distinti in tre classi:

  • patrizi (ricchi e potenti, si consideravano discendenti dei fondatori della città),
  • plebei (umili lavoratori, senza diritti politici: non potevano neppure contrarre matrimoni coi patrizi, né trattare affari);
  • schiavi (all'origine prigionieri di guerra, di proprietà dei padroni cui venivano assegnati; si chiamavano liberti se affrancati).


3. La Repubblica

Il primo periodo della repubblica si differenzia da quello monarchico sostanzialmente per un fatto: invece di un re in carica fino alla morte, il senato patrizio eleggeva ogni anno due consoli (repubblica aristocratica). Le prerogative religiose erano affidate a un sacerdote apposito. Il governo, anche qui, era in mano ai patrizi, i soli che ricoprivano cariche pubbliche e che erano membri di diritto del senato. Solo loro potevano fare le leggi.

I plebei, pur essendo costretti a partecipare alle guerre, con grave danno per i loro campi e per l'attività artigiana, non avevano il diritto di partecipare alla spartizione dei territori occupati. Sicché, ad ogni guerra il divario tra patrizi e plebei invece di diminuire, aumentava: il rischio maggiore era che, indebitandosi, i plebei finissero tra le fila degli schiavi.

La pretesa parificazione dei diritti con i patrizi, portò i plebei a condurre dure lotte sociali, civili e politiche. Alla fine i patrizi furono costretti a riconoscere due magistrati (tribuni della plebe) come rappresentanti dei plebei in senato. Essi potevano opporre il loro veto alle leggi ritenute anti-plebee.

Ma la più grande conquista dei plebei furono le Leggi delle XII tavole (incise nel 450 a.C. su tavole di bronzo ed esposte nel Foro, la piazza più importante della città). Esse segnano il passaggio dal diritto orale a quello scritto (facendo nascere una delle più importanti istituzioni romane: il diritto romano): affermano il principio dell'uguaglianza davanti alla legge e la sovranità del popolo. Tuttavia, solo dopo circa un secolo e mezzo fu riconosciuto ai plebei il diritto di accedere a tutte le cariche pubbliche.

La concessione dei diritti ai plebei portò le classi e i ceti più agiati a scatenare diverse guerre di conquista contro i popoli vicini, per “recuperare”, per così dire, i privilegi perduti. Roma così poté affermare il suo predominio su Etruschi, Volsci, Equi, Sanniti, dopodiché si volse verso sud, impegnandosi nella guerra contro Taranto e altre colonie greche. Tra il V e il III sec a.C. praticamente i romani occuparono tutta la penisola. I popoli conquistati non vennero schiavizzati, ma furono costretti ad accettare le leggi romane, il latino come lingua, alcune divinità religiose ecc.

Fra il III e il II sec. a.C. i romani contadini e guerrieri, com'erano sempre stati, cominciarono ad interessarsi anche di commercio e di navigazione, soprattutto perché, conquistando le città etrusche e greche, erano venuti a contatto con civiltà che per molti aspetti erano superiori alla loro.

L'interesse per gli scambi commerciali portò Roma al conflitto con Cartagine (città fondata dai Fenici), che allora dominava tutto il Mediterraneo. Le “guerre puniche” (fenicie) durarono un secolo e mezzo. Roma rischiò di essere distrutta dalla memorabile impresa del generale Annibale, che dalla Spagna era giunto in Italia passando le Alpi. Tuttavia, Roma non solo occupò la Spagna e altre colonie cartaginesi, ma, non volendo alcun rivale nel Mediterraneo, rase al suolo la città di Cartagine, trasformandola in provincia romana. Nello stesso anno (146 a.C.), anche la Grecia divenne provincia romana.

Le idee direttive dell'organizzazione politico-amministrativa delle province:

  1. nessuna uguaglianza di diritti tra romani e popoli assoggettati;
  2. formale rispetto delle tradizioni locali;
  3. diversità di trattamento (divide et impera).

L'egemonia sul Mediterraneo concentrò nelle mani di poche classi agiate enormi ricchezze: in particolare i latifondisti acquistavano grandi proprietà che poi trasformavano in pascoli o che facevano lavorare gratuitamente dagli schiavi comperati a poco prezzo. I proprietari dei piccoli poderi, che coltivavano la terra direttamente, non potevano sostenere sul mercato la concorrenza dei latifondisti. Di qui la necessità di vendere i poderi, di lavorare come braccianti nei poderi altrui, d'indebitarsi, di emigrare...

Fu così che nacquero nuove lotte sociali tra patrizi e plebei. Fra i molti tribuni della plebe che cercarono di difendere gli interessi delle classi meno abbienti, spiccano i nomi di Tiberio e Caio Gracco, la cui riforma agraria prevedeva il frazionamento del latifondo e la distribuzione dei lotti a coloro che s'impegnavano a coltivarli direttamente. Tuttavia i latifondisti seppero opporre un'efficace resistenza.

La lotta sociale tra patrizi e plebei assunse, sul piano politico, la fisionomia di una lotta tra due partiti avversi: democratico (Caio Mario) e aristocratico (Cornelio Silla). Mario si era procurato il favore del popolo per aver immesso nell'esercito anche i cittadini sprovvisti di censo, trasformando l'esercito da cittadino in mercenario. Silla era invece appoggiato dal senato e, dopo aver sconfitto Mario (che non si arrischiò di fare delle riforme “troppo democratiche”), si proclamò dittatore a vita. Il gesto era senza precedenti, poiché la legge romana concedeva il titolo solo in caso di guerra e per non più di sei mesi. Silla tuttavia, due anni dopo, lascerà volontariamente il potere ritirandosi a vita privata, salvaguardando così l'autorità del senato.

Non molti anni dopo, a causa del riaccendersi delle ostilità fra i due partiti e per evitare lo scontro armato, si propose di affidare il potere a un triumvirato: Pompeo (per il prestigio militare), Crasso (per la ricchezza), Cesare (perché capo del partito democratico).

La pace ebbe breve durata a causa delle rivalità tra Cesare e Pompeo. La lotta politica si trasformò in guerra civile e Pompeo ebbe la peggio. La morte di Crasso nella guerra contro i Parti permise a Cesare di farsi conferire dal senato: potestà tribunizia (sua persona sacra e inviolabile, con potere di veto verso le delibere senatoriali), pontificato massimo (suprema carica religiosa), dittatura a vita (tutti i poteri civili e militari).

Cesare segnò il tramonto della potenza del senato e l'inizio del trapasso dalla repubblica all'impero (monarchia militare assoluta e divina). Egli aveva in mente un vasto piano di riforme (ad es. concedere alle province la cittadinanza per romanizzare l'impero), ma non poté realizzarle perché morì in una congiura organizzata dai pompeiani (44 a.C.).


4. Età imperiale

Con età imperiale si intende il periodo della storia di Roma che va dal 31 o dal 27 a.C. al 476 d.C., anno della caduta dell'impero romano d'Occidente. Questa fase della storia di Roma vide la cessione del potere da parte del Senato a un singolo cittadino eminente: l'imperatore. Il periodo imperiale fu caratterizzato fino al II secolo d.C. da una fase di prosperità e splendore, dovuto alle nuove conquiste e all'affermarsi di Roma come prima città del mondo allora conosciuto e da una profonda crisi a partire dal III secolo d.C.
Ottaviano Augusto, il primo imperatore di Roma, assunse su di sé pieni poteri politici e militari e donò pace e stabilità a Roma dopo anni di guerre civili. Da lui prese il via la dinastia Giulio-Claudia, che vide susseguirsi al potere fino al 68 d.C. gli imperatori Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone.

Con la dinastia Flavia, che governò su Roma fino al 96 d.C., l'espansione di Roma continuò. L'impero raggiunse il massimo della grandezza tra 98 e 117 d.C. con l'imperatore Traiano comprendendo un'area che da ovest a est andava dalla Spagna all'Asia minore e da nord a sud dall'attuale Inghilterra a tutta l'Africa del nord.

Sotto la dinastia degli Antonini, che guidò Roma tra 117 e 192 d.C. si ebbe un periodo di pace e prosperità, anche se aumentò la pressione dei barbari ai confini.

Dal III secolo l'imperò entrò in crisi per vari motivi tra cui: 

  • Il grande peso acquisito dall'esercito che portava a continui colpi di stato
  • La crisi economica
  • La pressione dei popoli oltre i confini
  • La diffusione del Cristianesimo

Con la Tetrarchia voluta da Diocleziano tra 284 e 305 d.C. cominciò la divisione dell'Impero e Roma perse il suo ruolo di capitale con la fondazione di Costantinopoli da parte dell'imperatore Costantino, che rese il Cristianesimo la religione ufficiale nel 313. Nel 396 d.C. Teodosio I divise l'impero in una parte occidentale e in una orientale. 

Nel IV secolo, l'Impero romano d'Occidente, piegato da una inarrestabile crisi politica ed economica non seppe più respingere le invasioni dei popoli oltre i confini: nel 476 d.C. il re barbaro Odoacre depose l'imperatore Romolo Augustolo e pose fine all'impero romano d'Occidente.  


5. Cosa fece grande l'Impero Romano

L'impero
L'ESERCITO 

L’eccezionale efficienza dell’esercito era garantita dall’organizzazione in legioni (25 nel I secolo d. C., ognuna di oltre 5 mila effettivi), suddivise in coorti e centurie. Un rigoroso addestramento assicurava grande capacità di manovra alle formazioni, appoggiate sul campo di battaglia da macchine da guerra (catapulte, onagri, baliste e scorpioni).

STRADE E ACQUEDOTTI 

Le strade consolari collegarono nel tempo gran parte degli oltre 5 milioni di km quadrati dell’impero. Sulla rete viaria (100 mila km nel II secolo), in gran parte lastricata, viaggiavano le merci, ma soprattutto si spostavano velocemente le legioni. La costruzione di acquedotti (solo a Roma ce n’erano 11) assicurò invece l’autonomia idrica alle città dell’impero.

TRASPORTI 

Due servizi pubblici garantivano rapide comunicazioni e distinguevano l’Impero romano da altri regni. Uno era il cursus publicus, un servizio di corrieri imperiali a cavallo che coprivano fino a 120 km al giorno. L’altro il cursus velox, servizio per viaggiatori (70 km al giorno).

PROVINCE 

L’impero era diviso in province (circa 40 sotto Augusto) rette da un governatore. I popoli sottomessi venivano integrati nell’impero come foederati: un trattato di “sovvenzione” garantiva loro il diritto di coltivare la terra in cambio della fornitura di guerrieri alle legioni romane.

CITTÀ 

Le legioni stanziate nelle province, come tutte le unità dell’esercito romano, risiedevano in accampamenti, i castra. Simile a una cittadella fortificata, il castrum aveva una pianta quadrata, con strade perpendicolari fra loro. Alcuni accampamenti nel tempo si sono evoluti fino a diventare città: è questa l’origine di centri come Torino, Vienna e Londra.

BARBARI 

L’esercito non fu costituito su base etnica: anche i volontari nati fuori dall’impero potevano infatti arruolarsi. Ciò trasformò l’esercito in un melting pot che permetteva di sfruttare le abilità di tutti. Tanto che anche i guerrieri barbari potevano, se lo meritavano, ricoprire incarichi di responsabilità: molti di loro diventarono importanti generali.

ANNONA 

Chi viveva a Roma aveva la sussistenza assicurata grazie all’annona (dal nome della dea italica dell’abbondanza): un approvvigionamento di grano che garantiva ai cittadini indigenti la sopravvivenza. L’annona fu introdotta da Caio Gracco nel 123 a. C. e fu alla base del consenso popolare nei primi passi dell’impero. Un altro “incentivo” alla fedeltà a Roma furono invece i terreni concessi a chi intraprendeva la carriera militare.

ADOZIONE 

La pratica dell’adozione fu usata con fini politici per stringere alleanze. Il sistema acquisì estrema importanza soprattutto durante il periodo imperiale. L’adozione permetteva infatti a un imperatore di scegliere il proprio successore al di fuori della cerchia dei parenti. Si poteva così designare per la successione la persona più adatta a ricoprire quel ruolo (oppure soltanto prediletta) associandola al trono imperiale. Il primo imperatore scelto con questo sistema fu Traiano, adottato nel 98 d. C. dall’imperatore Nerva. E fu proprio Traiano a portare l’Impero romano alla sua massima estensione.

RELIGIONE 

I Romani non scatenarono mai guerre di religione: lo prova l’antica cerimonia dell’evocatio con cui accoglievano a Roma le divinità delle città contro cui stavano combattendo. Più le divinità erano giudicate influenti, più venivano onorate con grandi templi: lo scopo era sottrarre ai nemici la protezione dei loro dèi, che venivano invitati a “trasferirsi” a Roma, dove avrebbero ricevuto più alti onori. Furono così introdotti anche culti orientali, come quello di Iside (egiziano) e di Mitra (persiano). Lo stesso accadde con la cultura e l’arte greca, assimilate dall’élite romana dopo aver sottomesso Atene.

CITTADINI 

Il cittadino (maschio) romano godeva di una serie di privilegi: accesso alle cariche pubbliche, partecipazione alle assemblee politiche, vantaggi sul piano fiscale. La cittadinanza non era però un’esclusiva di chi era di famiglia romana: nel 212 d. C. l’imperatore Caracalla la estese a tutte le popolazioni che vivevano nei confini dell’impero. Una strategia già adottata nel 90 a. C., quando la cittadinanza romana fu estesa ai popoli italici.