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La scuola di Elea

Gli Eleati rifiutano la validità epistemologica dell'esperienza dei sensi ed assumono invece parametri razionali di chiarezza e necessità come criteri della verità. Questo porterà a notevoli contraddizioni tra esperienza e necessità che i filosofi successivi avranno grande difficoltà a risolvere.

Sito: Meta-Apprendisti
Corso: Apprendisti Filosofi
Libro: La scuola di Elea
Stampato da: Utente ospite
Data: venerdì, 3 maggio 2024, 13:05

1. Parmenide e la via dell’essere

Parmenide è il padre dell’ontologia (òntos, essere), ovvero lo studio sull’essere. L’essere per Parmenide è ciò che fa sì che le cose siano, la loro condizione di esistenza e quindi è idenfiticabile con l’arché.

Che sia l’essere che faccia sì che le cose siano sembra quasi ovvio, ma l’assunzione di questa verità porta con sé delle conseguenze “disastrose” che analizzeremo.

 

2. L’incontro con la dea

Di Parmenide abbiamo solo pochi frammenti di una sua opera in versi che sono sufficienti per giungere alle conclusioni più semplici. Raccontiamola.

Il filosofo viene raggiunto da una Dea (non chiaro chi sia, ma probabilmente la Dea delle giustizia, vedi Anassimandro e Eraclito sl concetto di giustizia) che lo invita a scegliere tra due strade:

  • la via della verità, dove essa si conosce con il logos

  • la via dell’errore, dove in essa si brancola nel buio con i sensi

La prima via è la via dell’essere, la via dove l’essere è e il non-essere non è.

Può sembrare ovvio scegliere la prima ma la Dea si raccomanda di scegliere bene: una volta scelta  non  è possibile cambiare (non si può passare da una strada all’altra). La via dell’essere infatti impone delle rinunce perché se la imbocco accetto il principio:

«L’essere è e non può non essere»

Ma da questo principio dovrò anche dedurre che l’essere è anche:

  • uno, perché se fossero due, ad esempio A e B, se entrambi fossero l’essere, e B fosse diverso da A, allora l’essere sarebbe diverso da se stesso, il che è una contraddizione, oppure che almeno uno dei due sia il NON-essere, il che è impossibile (il non essere non può essere).

  • ingenerato, perché se fosse generato come sarebbe prima di essere se non non-essere? E questo è impossibile.

  • imperituro, perché se perisse cosa sarebbe dopo?

  • immobile, perché se si muovesse dovrebbe andare da un luogo all’altro. Ma dove può andare l’essere se non dove non vi sia già? E cosa si sarebbe laddove non ci fosse l’essere?

  • immutabile, perché se cambiasse forma assumerebbe una forma che lo renderebbe diverso da quello che è, cioè diverso dall’essere, ovvero non-essere.

Dovrò in pratica rinunciare a tutto quel mondo che mi è offerto dai sensi, quel mondo dove invece le cose nascono e muoiono, si muovono, si trasformano e sono tutte diverse tra loro.
Il mondo dell’essere di Parmenide è esattamente la negazione del mondo dei sensi, o meglio: è la negazione che del mondo dei sensi, e delle apparenze che tramite essi posso giudicare, possa esprimere una qualsiasi verità.

3. Gli argomenti di Zenone

Facile immaginare i detrattori di Parmenide che, di fronte alla sua affermazione sulla non esistenza del movimento, si siano messi perlomeno a ridere. Zenone di Elea, suo allievo, offre vari argomenti a sostegno della testi del maestro andando ancora più a fondo: dimostrando per assurdo che se si sostenessero tesi contrarie a quelle di Parmenide (cioè che il movimento esiste) si cadrebbe in contraddizioni ancora più assurde dell’affermare il contrario (cioè le tesi di Parmenide). Zenone in pratica mette le cose in chiaro: o accetto l’immobilità dell’essere o accetto che la mia ragione non è in grado di dire niente di vero perché cade da sola in contraddizione.

Gli argomenti offerti da Zenone sono 4 (o 6 se oltre a quelli sull’immobilità comprendiamo anche quelli riguardanti l’unicità dell’essere) ma è sufficiente vederne uno: l’argomento dello stadio.

L’argomento di Zenone utilizza il metodo della riduzione per assurdo:

  1. Tesi: il movimento non esiste

  2. Ipotesi per assurdo (negazione della tesi) almeno un ente si muove

  3. Definizione di movimento: perché un ente possa muoversi da un luogo A a uno B:

    1. A≠B

    2. tra A e B ci deve essere uno spazio da percorrere

    3. l’ente di trova inizialmente in A e non in B.

  4. Per 3a ci deve essere uno spazio tra A e B che l’ente possa attraversare, chiamiamolo C.

  5. Adesso l’ente deve spostarsi da C a B trovandosi nella stessa situazione di 2.

  6. Ripetendo all’infinito (ci deve essere sempre uno spazio percorribile tra l’ente e la destinazione B), l’ente non giunge mai a B, negando la stessa definizione di movimento di 3.

  7. L’ente si muove da A e B non giungendo mai a B. Contraddizione.

  8. Per la contraddizione nego l’ipotesi per assurdo che l’ha generata, la 2 quindi nessun ente si muove.

  9. Affermo la tesi 1: il movimento non esiste.

4. La "Terza Via"

Già Parmenide, nel suo poema, ci parla di una “terza via”, ovvero una terza possibilità (tra la via dell’essere e la via dell’apparenza) che egli chiama della doxa plausibile. Non è chiarissimo cosa egli intenda con questa espressione ma confrontandolo con i filosofi successivi si può ipotizzare una sorta di via della “apparenza di cui si può affermare qualcosa di vero”.

Un ragionamento a questo proposito può essere di questo tipo:

  1. Tutto ciò che esiste lo è in virtù dell’essere

  2. Perché io possa giudicare qualcosa dunque, devo prima affermarela sua esistenza: “S è P” solo se “S è”

  3. “S è P” è, secondo il ragionamento iniziale di Parmenide (relativo alla via dell’essere), un giudizio che esprime un predicato apparente (e quindi falso), ma qui affermiamo che esso dipende da un giudizio che invece contiene qualcosa di vero, e cioè “S è”.

  4. Detto in termini semplici: tutto ciò che appare, appare perché è e quindi deve esserci ell’essere qualcosa che fa sì che appaia in un certo modo e non in un altro. Deve esserci anche nelle apparenze qualcosa che fa sì che siano in un certo modo (anche se, appunto, solo apparenze)

  5. Deve esserci nell’essere un qualche principio, immutabile, che rappresenti diversi modi di apparire dell’essere.

Parmenide, non dice molto, per cui possiamo cercare questi principi nei filosofi a lui successivi, i cosiddetti filosofi pluralisti.