Leibniz

2. Verità di ragione e verità di fatto

L'opera di Leibniz è dunque rivolta a giustificare questo ordine contingente e quindi a dimostrare che ordine non significa necessità.

La necessità si trova solo nella logica, non nella realtà.

Nella logica si trovano infatti le verità di ragione, le uniche necessarie. Tali sono le verità dei giudizi cosiddetti analitici, quei giudizi in cui il predicato è già contenuto nel soggetto. Es. Il triangolo ha tre lati. Tali giudizi sono fondati sui principi di identità e non contraddizione. Questi giudizi non dicono niente della realtà, non possono essere derivate dall'esperienza e quindi non innate. Il fatto che siano innate non significa che sono evidenti (critica di Locke a Cartesio) ma sono anzi confuse se non vengono rese evidenti dall'esperienza.

Le verità di fatto sono invece contingenti e e concernono la realtà effettiva. Il predicato, in questo caso, non è contenuto nel soggetto, es. "La mela è rossa" e quindi perché siano fondate è necessario il principio di ragion sufficiente: in base a questo principio nulla si verifica senza una ragione sufficiente.

Questo principio è il principio proprio di quell'ordine che Leibniz si è sforzato di trovare in ogni aspetto dell'universo, non ordine che non esclusa ma includa la libera scelta: tra i molti mondi possibili solo uno è stato scelto.