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Autore: Robespierre
Titolo: Discorso contro la guerra (2 gennaio 1792)
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Tipo di fonte: Storica
Testo :

LA GUERRA E' DESIDERATA DALLA CORTE E DAI NEMICI DELLA RIVOLUZIONE.

Tutta la questioni sta proprio qui, nella nostra situazione straordinaria. Voi avete continuamente distolto i vostri sguardi da essa; ma io ho dimostrato ciò che era chiaro a tutto il mondo, che l'attuale proposta di guerra è il risultato di un progetto macchinato da tempo dai nemici in- terni della nostra libertà, ve ne ho mostrato gli scopi, ve ne ho indicato i mezzi d'esecuzione, altri vi hanno dimostrato che essa non è altro che una manifesta insidia, un oratore, membro dell'Assemblea costituente, vi ha detto a questo proposito certe verità,di fatto molto importanti, non vi è persona ché non si sia accorta di questa insidia al pensiero che coloro che avevano costantemente protetto l'emigrazione e gli emigrati ribelli si proponevano di dichiarare guerra ai loro protettori e nello stesso tempo difendevano ancora i nemici dell'interno ad essi confederati. Voi stessi avete convenuto che la guerra -piaceva agli emigrati, che piaceva al ministero, agli intriganti di corte, alla numerosa fazione i cui capi ben noti dirigono da tempo tutti i passi del potere esecutivo, le trombe dell'aristocrazia e del governo tutte insieme ne danno il segnale; infine chiunque negasse che la condotta della corte sia stata dall'inizio della rivoluzione sempre in contrasto coi principi dell'eguaglianza e coi rispetto per i diritti del popolo sarebbe considerato come un insensato se fosse in buona fede; chiunque dicesse che la corte propone una misura così decisiva come la guerra senza metterla in rapporto al suo piano, darebbe un'idea ancor meno buona dei suo giudizio. Ebbene, potete dire che sia indifferente per il bene dello Stato che l'impresa della guerra sia diretta dall'amore della libertà o dallo spirito di dispotismo, dalla fedeltà o dalla perfidia? Eppure cosa avete risposto a tutti questi fatti decisivi? Cosa avete detto per dissipare tanti giusti sospetti? La vostra risposta al punto che è il principio fondamentale di tutta la discussione permette di giudicare tutto il vostro sistema.

LA RIVOLUZIONE NON SI ESPORTA.

E' nella natura delle cose che la marcia della ragione sia lentamente progressiva. Il governo peggiore trova un appoggio potente nei pregiudizi, nelle abitudini, nell'educazione dei popoli. Lo stesso dispotismo deprava lo spirito degli uomini fino a farsi adorare e fino a rendere la libertà so- spetta e terrificante a prima vista. L'idea più stravagante che possa nascere nella testa di un uomo Politico è quella di credete che sia suffIciente per un popolo entrare a mano armata nel territorio di un popolo straniero per fargli adottare le sue leggi e la sua costituzione. Nessuno ama i missionari armati, il primo consiglio che danno la natura e la prudenza è quello di respingerli nemici. [...]

Prima che gli effetti della rivoluzione si facciano sentire sulle nazioni straniere bisogna che essa sia consolidata. Voler dare la libertà ad altre nazioni prima di averla conquistata noi stessi, significa garantire insieme la servitù nostra e quella del mondo intero. Pensare che quando un popolo si dà una costituzione tutti gli altri rispondano nello stesso istante a questo segnale, vuol dire formarsi un'idea esagerata e assurda delle cose. L'esempio dell'America, che voi avete citato, sarebbe stato sufficiente a spezzare le nostre catene, se il tempo e il concorso delle circostanze più fortunate non avessero avvicinato insensibilmente questa rivoluzione? La dichiarazione dei diritti non è la luce del sole che illumina tutti gli uomini nella stesso istante, non è la folgore che colpisce nello stesso tempo tutti i troni. E' più facile scriverla sulla carta o inciderla nel bronzo che ristabilire nel cuori degli uomini i suoi caratteri cancellati dall'ignoranza, dalle passioni e dal dispotismo. Che dico? Essa non è misconosciuta- calpestata, ignorata tutti i giorni perfino in mezzo a voi che l'avete promulgata? Dov'è l'uguaglianza dei diritti fuorché nei principi della nostra costituzione? Non rialza la sua testa schifosa il dispotismo, l'aristocrazia risuscitata sotto nuove forme? Non opprime essa ancora la debolezza, la virtù, l'innocenza in u nome della legge e della stessa libertà? Assomiglia tanto a sua madre la costituzione che si è detta figlia della dichiarazione dei diritti? Che dico? Questa vergine, un tempo raggiante di una beltà celeste, è ancora simile a se stessa? Non è uscita illividita e insudiciata dalle mani impure della coalizione che turba e tiranneggia oggi la Francia e alla quale non manca che l'adozione delle perfide misure che io combatto in questo momento per realizzare i suoi perfidi progetti? Come potete dunque credere che nello stesso momento in cui i nostri nemici interni avranno deciso per la guerra, essa opererà i prodigi che non ha potuto ancora operare in mezzo a noi?

IL CAMMINO DELLA RIVOLUZIONE

Sono ben lontano dal pretendere che la nostra rivoluzione non inluirà sulla sorte del Inondo in seguito, forse anche più presto di quanto le apparenze attuali sembrino annunciare. A Dio non piaccia che rinunci ad una speranza così dolce! Ma io sostengo che in questo momento ciò non può ancora avvenire; sostengo che per lo meno non ve n'è alcuna prova e che non bisogna mettere a repentaglio la nostra libertà, sostengo che per eseguire con successo una simile impresa in qualsiasi tempo lo si faccia, occorre volerla, mentre il governo che avrebbe esserne incaricato e i suoi agenti non la vogliono e l'hanno dichiarato chiaro e tondo. Infine volete un sicuro contravveleno a tutte le illusioni che vi si presentano? Riflettete seriamente sul cammino naturale delle rivoluzioni. Negli Stati costituiti, come sono quasi tutti i paesi d'Europa, vi sono tre potenze: il monarca, gli aristocratici e il popolo (ma veramente il popolo non conta nulla). Se in questi paesi scoppia una rivoluzione, non può essere che graduale. Essa comincia con l'azione dei nobili, dei clero, dei ricchi, e il popolo l'appoggia quando i suoi interessi si accordano coi loro per resistere all'oppressione della potenza dominante, ossia dei monarca. Così in mezzo a voi sono stati i parlamenti, i nobili, il clero, i ricchi che hanno dato la spinta alla rivoluzione; dopo è comparso il popolo. Essi se ne sono pentiti o per lo meno hanno voluto fermare la rivoluzione, quando hanno visto che il popolo poteva riconquistare la sua sovranità; ma sono loro che l' hanno cominciata; senza la loro resistenza e i loro calcoli sbagliati la nazione, sarebbe ancora sotto il giogo del dispotismo. Basandovi su questa verità storica e morale, potete giudicare quanto poco potete fare assegnamento sulle nazioni d'Europa in generale; infatti gli aristocratici di queste nazioni sono altrettanto nemici dei popolo e dell'eguaglianza quanto i nostri e, ben lontano dal dare il segnale dell'insurrezione, sono stati avvertiti dal nostro stesso esempio e si sono alleati col governo come i nostri, per mantenere il popolo nell'ignoranza e nelle catene e per sfuggire alla dichiarazione dei diritti. [...]

"RIMETTETE ORDINE IN CASA VOSTRA PRIMA DI PORTARE LA LIBERTA IN CASA D'ALTRI ".

Prima di smarrirvi nella politica e negli Stati dei principi d'Europa, cominciate a puntare i vostri sguardi sulla vostra situazione interna; rimettete ordine in casa vostra prima di portate la libertà in casa d'altri. Ma voi non volete essere minimamente infastiditi da questi pensieri, come se per i grandi politici non valessero le regole più elementari del buon senso. Rimettere ordine nelle finanze arrestarne la dilapidazione, armare il popolo e le guardie nazionali, fare tutto ciò che il governo ha voluto impedire finora, per non dover temere né gli attacchi dei nostri nemici né gli intrighi ministeriali, rianimare lo Spirito pubblico e risvegliare l'orrore della e tirannia, che solo può renderci invincibile contro tutti i nemici, con leggi benefiche, con un comportamento energico, dignitoso e saggio, tutto ciò non è che un insieme di idee ridicole. La guerra, la guerra, poiché la chiede la corte; questa decisione dispensa da ogni altra preoccupazione; Si è a posto nei riguardi del popolo, quando gli si dà la guerra; guerra contro i nemici indicati dalla corte nazionale e contro i principi tedeschi, fiducia, idolatria per i nemici interni. Ma cosa dico? ne abbiamo poi di nemici interni? No, voi non ne conoscete; voi non conoscete che Coblenza. Non avete detto che il focolaio della malattia è a Coblenza? Ma esso non è dunque a Parigi? Non vi è dunque relazione fra Coblenza e un altro luogo che non è troppo lontano da noi? Avete il coraggio di dire che ciò che ha fatto retrocedere la rivoluzione è la paura che ispirano alla nazione gli aristocratici fuggiaschi che essa ha sempre disprezzato, e poi vi aspettate da questa nazione prodigi di ogni genere! Sappiate dunque che a giudizio di tutti i francesi di buon senso la vera Coblenza è in Francia, che quella dei vescovo di Treviri non è che una delle leve di una grossa macchinazione contro la libertà, il cui centro, i cui capi sono in mezzo a noi, Se ignorate queste cose vuoi dire che tutto ciò che avviene in questo paese vi è estraneo. Se le sapete, perché le negate? Perché distogliere l'attenzione pubblica dai nostri più temibili nemici per fissarla su altri oggetti, per condurci nella trappola in cui essi ci attendono? [ ...]

PERICOLI DELLA GUERRA.

Come ho già detto, durante la guerra esterna gli avvenimenti militari distraggono il popolo dalle deliberazioni politiche che interessano le basi essenziali della sua libertà e fanno sì che esso presti minore attenzione alle sorde manovre degli intriganti che le minano e del potere esecutivo che le scuote, alla debolezza e alla corruzione dei rappresentanti che non le difendono. Questa politica fu adoperata in tutti i tempi, checché ne abbia detto il signor Brissot, l'esempio degli aristocratici di Roma è indicativo ed espressivo in questo senso. Quando il popolo reclamava i suoi diritti contro le usurpazioni del senato e dei patrizi, il senato dichiarava la guerra; e il popolo dimenticando i suoi diritti e gli oltraggi ricevuti, si occupava sol. tanto della guerra, lasciava al senato tutto il suo potere e preparava nuovi trionfi ai patrizi. La guerra è buona per gli ufficiali militari, per gli ambiziosi, per gli agitatori che speculano su questo genere di avvenimenti; è buona per la coalizione dei nobili, degli intriganti, dei moderati che governano la Francia. Questa fazione può mettere i suoi eroi e i suoi membri alla testa dell'esercito; la corte può affidate le forze dello Stato agli uomini che all'occasione possono servirla con tanto maggior successo quanto più saranno riusciti a conquistarsi una specie di reputazione di patriottismo; essi si guadagneranno il cuore e la fiducia dei soldati per legarli più fortemente alla causa del realismo e del moderatismo.


Commento:

Con questo discorso Robespierre rende note all’Assemblea le sue posizioni riguardo l’opportunità per la Francia di entrare in guerra contro i paesi nemici della Rivoluzione, dichiarandosi apertamente contrario e puntando il dito contro gli atteggiamenti della Corte, degli aristocratici e del girondino Brissot.

Nel dicembre del 1791 la Rivoluzione procedeva ormai da più di due anni e si erano già evidenziate le differenti posizioni degli schieramenti legislativi, governativi e regi.

All’interno dell’Assemblea i giacobini erano i più accaniti oppositori della guerra, mentre sul fronte opposto questa era auspicata dagli aristocratici, consapevoli che così avrebbero forse potuto riappropriarsi di posizioni e diritti che la Rivoluzione aveva loro tolto. Anche i moderati e gli illuminati di La Fayette erano contrari alla guerra, per paura di perdere i diritti ottenuti con la costituzione. I girondini, sotto l’ideologia dell’esportazione della Rivoluzione e della lotta alla tirannide, cercavano invece di ampliare le loro possibilità di commercio estero. Il Re, infine, sperava in una sconfitta della Francia ed in una vittoria degli stati assolutistici volta a ripristinare l’Ancien regime.

Robespierre, intuiti gli interessi delle fazioni che lo circondavano, impostò il suo intervento al fine di smascherare le trame ed i progetti di queste, sulla base degli eventi che avevano caratterizzato l’andamento della Rivoluzione fino a quel momento.

Innanzitutto viene evidenziato come la Francia non fosse effettivamente pronta ad affrontare un conflitto, soprattutto sotto il punto di vista economico: la crisi finanziaria che aveva dato vita alla Rivoluzione stessa non era ancora sopita e di certo una guerra non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione, stremando definitivamente le classi più povere, per le quali peraltro l’Assemblea non aveva fatto molto, limitandosi ad abolire alcuni diritti feudali.

Robespierre fa anche notare che è proprio durante la guerra che un popolo tende a dimenticare i suoi diritti politici e civili per preoccuparsi di ciò che succede all’esterno, ed è sempre durante la guerra che distoglie l’attenzione dai suoi legislatori per volgere le speranze ai suoi generali, vicini al Re… La guerra, afferma Robespierre, è necessaria solo quando è finalizzata all’acquisizione di maggiorilibertà, e non era questo il caso.

Ma la Corte sapeva bene come sfruttare i propri mezzi, ed era promotrice, in quel periodo, di un’opera di sensibilizzazione patriottica mirata a suscitare negli animi della nazione la necessità di impugnare le armi per difendere i propri confini... Robespierre afferma a tal proposito che i veri nemici della Rivoluzione non erano fuori, ma dentro i confini francesi, e continuavano ad essere fomentati dal re. Lo stesso Luigi XVI aveva, nell’estate del 1791, tentato una fuga per organizzare con i nobili emigrati una coalizione antirivoluzionaria.

Su queste basi Robespierre fa notare come la Corte, che aveva sempre voluto la guerra, avesse atteso il momento più conveniente: le forze ribelli degli emigrati erano in quell’inverno ben organizzate ed il potere esecutivo era riuscito a scongiurarne ogni indebolimento. Il Re sapeva bene, inoltre, che conveniva attaccare per primi, evitando così l’insurrezione e la sfiducia della popolazione, che vedendosi attaccata avrebbe potuto trovare le motivazione e la forza per debellare definitivamente il suo vero nemico.

Robespierre sottolinea anche come sia utile, per le mire reali, combattere lontano dal territorio francese, laddove senza l’occhio vigile del popolo sarebbe più facile mettere in atto i propri progetti e tradire la nazione.

Altre accuse Robespierre le riserva all’atteggiamento del legislatore patriota Brissot (uno dei massimi esponenti dei girondini, appartenenti al dipartimento marittimo della Gironda e propensi ad una espansione del territorio francese nell’ottica di una parallela espansione dei loro commerci). Brissot aveva affermato che, qualsiasi direzione avrebbero preso gli eventi, la libertà avrebbe comunque trionfato, in quanto il popolo era lì… vigile e pronto a ribellarsi.

Robespierre ricorda così che il popolo francese “era lì” anche quando in più di un’occasione venne abilmente incatenato e privato dei propri diritti… “era lì” anche quando il 17 luglio di quel 1791 venne fucilato sui Campi di Marte (il riferimento è all’eccidio che ci fu quando la Guardia Nazionale, per ordine di La Favette, aprì il fuoco contro una manifestazione repubblicana).

Il popolo, suggerisce Robespierre, non dovrebbe essere lasciato “lì”, ma dovrebbe essere ben guidato dai suoi rappresentanti, troppo presi, al momento, appresso ai propri interessi.

Robespierre aveva capito che la Francia stava rischiando di andare incontro ad un massacro annunciato… stava rischiando di andare a combattere contro se stessa.

La nazione, secondo lui, non voleva la guerra, ma solo essere tutelata ed illuminatadai suoi rappresentanti, per far trionfare la libertà.

Quel che accadde fu che, pochi mesi dopo questo discorso di Robespierre, la Francia entrò in guerra.

E le sue previsioni si avverarono.

Il Re fece di tutto per attuare i suoi progetti controrivoluzionari e per facilitare il massacro delle proprie truppe: pose il veto alla richiesta di leva di massa e continuò la sua politica di tacito favoreggiamento ai ribelli, soprattutto al clero refrattario(quella parte di clero che non riconosceva la costituzione del 1790 laddove definiva al Chiesa come un’istituzione della nazione e non più come un’organizzazione dipendente da Roma).

La guerra stremò inoltre le classi più deboli, soprattutto i contadini, dando vita a rivolte sanguinose e ad un accanito odio verso tutti i gruppi antirivoluzionari (l’episodio più significativo è quello delle stragi di settembre, quando il popolo affamato massacrò molti prigionieri politici chiusi nelle prigioni di stato).

Robespierre chiuse il suo discorso con queste parole: “siamo giunti ad una profonda crisi per la nostra Rivoluzione… guai a coloro che, in questa circostanza, non immoleranno alla pubblica salvezza lo spirito di parte, le loro passioni, e i loro stessi pregiudizi!”

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