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Tipo di fonte: Storica
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Con questo discorso Robespierre rende note all’Assemblea le sue posizioni riguardo l’opportunità per la Francia di entrare in guerra contro i paesi nemici della Rivoluzione, dichiarandosi apertamente contrario e puntando il dito contro gli atteggiamenti della Corte, degli aristocratici e del girondino Brissot.

Nel dicembre del 1791 la Rivoluzione procedeva ormai da più di due anni e si erano già evidenziate le differenti posizioni degli schieramenti legislativi, governativi e regi.

All’interno dell’Assemblea i giacobini erano i più accaniti oppositori della guerra, mentre sul fronte opposto questa era auspicata dagli aristocratici, consapevoli che così avrebbero forse potuto riappropriarsi di posizioni e diritti che la Rivoluzione aveva loro tolto. Anche i moderati e gli illuminati di La Fayette erano contrari alla guerra, per paura di perdere i diritti ottenuti con la costituzione. I girondini, sotto l’ideologia dell’esportazione della Rivoluzione e della lotta alla tirannide, cercavano invece di ampliare le loro possibilità di commercio estero. Il Re, infine, sperava in una sconfitta della Francia ed in una vittoria degli stati assolutistici volta a ripristinare l’Ancien regime.

Robespierre, intuiti gli interessi delle fazioni che lo circondavano, impostò il suo intervento al fine di smascherare le trame ed i progetti di queste, sulla base degli eventi che avevano caratterizzato l’andamento della Rivoluzione fino a quel momento.

Innanzitutto viene evidenziato come la Francia non fosse effettivamente pronta ad affrontare un conflitto, soprattutto sotto il punto di vista economico: la crisi finanziaria che aveva dato vita alla Rivoluzione stessa non era ancora sopita e di certo una guerra non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione, stremando definitivamente le classi più povere, per le quali peraltro l’Assemblea non aveva fatto molto, limitandosi ad abolire alcuni diritti feudali.

Robespierre fa anche notare che è proprio durante la guerra che un popolo tende a dimenticare i suoi diritti politici e civili per preoccuparsi di ciò che succede all’esterno, ed è sempre durante la guerra che distoglie l’attenzione dai suoi legislatori per volgere le speranze ai suoi generali, vicini al Re… La guerra, afferma Robespierre, è necessaria solo quando è finalizzata all’acquisizione di maggiorilibertà, e non era questo il caso.

Ma la Corte sapeva bene come sfruttare i propri mezzi, ed era promotrice, in quel periodo, di un’opera di sensibilizzazione patriottica mirata a suscitare negli animi della nazione la necessità di impugnare le armi per difendere i propri confini... Robespierre afferma a tal proposito che i veri nemici della Rivoluzione non erano fuori, ma dentro i confini francesi, e continuavano ad essere fomentati dal re. Lo stesso Luigi XVI aveva, nell’estate del 1791, tentato una fuga per organizzare con i nobili emigrati una coalizione antirivoluzionaria.

Su queste basi Robespierre fa notare come la Corte, che aveva sempre voluto la guerra, avesse atteso il momento più conveniente: le forze ribelli degli emigrati erano in quell’inverno ben organizzate ed il potere esecutivo era riuscito a scongiurarne ogni indebolimento. Il Re sapeva bene, inoltre, che conveniva attaccare per primi, evitando così l’insurrezione e la sfiducia della popolazione, che vedendosi attaccata avrebbe potuto trovare le motivazione e la forza per debellare definitivamente il suo vero nemico.

Robespierre sottolinea anche come sia utile, per le mire reali, combattere lontano dal territorio francese, laddove senza l’occhio vigile del popolo sarebbe più facile mettere in atto i propri progetti e tradire la nazione.

Altre accuse Robespierre le riserva all’atteggiamento del legislatore patriota Brissot (uno dei massimi esponenti dei girondini, appartenenti al dipartimento marittimo della Gironda e propensi ad una espansione del territorio francese nell’ottica di una parallela espansione dei loro commerci). Brissot aveva affermato che, qualsiasi direzione avrebbero preso gli eventi, la libertà avrebbe comunque trionfato, in quanto il popolo era lì… vigile e pronto a ribellarsi.

Robespierre ricorda così che il popolo francese “era lì” anche quando in più di un’occasione venne abilmente incatenato e privato dei propri diritti… “era lì” anche quando il 17 luglio di quel 1791 venne fucilato sui Campi di Marte (il riferimento è all’eccidio che ci fu quando la Guardia Nazionale, per ordine di La Favette, aprì il fuoco contro una manifestazione repubblicana).

Il popolo, suggerisce Robespierre, non dovrebbe essere lasciato “lì”, ma dovrebbe essere ben guidato dai suoi rappresentanti, troppo presi, al momento, appresso ai propri interessi.

Robespierre aveva capito che la Francia stava rischiando di andare incontro ad un massacro annunciato… stava rischiando di andare a combattere contro se stessa.

La nazione, secondo lui, non voleva la guerra, ma solo essere tutelata ed illuminatadai suoi rappresentanti, per far trionfare la libertà.

Quel che accadde fu che, pochi mesi dopo questo discorso di Robespierre, la Francia entrò in guerra.

E le sue previsioni si avverarono.

Il Re fece di tutto per attuare i suoi progetti controrivoluzionari e per facilitare il massacro delle proprie truppe: pose il veto alla richiesta di leva di massa e continuò la sua politica di tacito favoreggiamento ai ribelli, soprattutto al clero refrattario(quella parte di clero che non riconosceva la costituzione del 1790 laddove definiva al Chiesa come un’istituzione della nazione e non più come un’organizzazione dipendente da Roma).

La guerra stremò inoltre le classi più deboli, soprattutto i contadini, dando vita a rivolte sanguinose e ad un accanito odio verso tutti i gruppi antirivoluzionari (l’episodio più significativo è quello delle stragi di settembre, quando il popolo affamato massacrò molti prigionieri politici chiusi nelle prigioni di stato).

Robespierre chiuse il suo discorso con queste parole: “siamo giunti ad una profonda crisi per la nostra Rivoluzione… guai a coloro che, in questa circostanza, non immoleranno alla pubblica salvezza lo spirito di parte, le loro passioni, e i loro stessi pregiudizi!”

Autore: Robespierre
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Testo:

LA GUERRA E' DESIDERATA DALLA CORTE E DAI NEMICI DELLA RIVOLUZIONE.

Tutta la questioni sta proprio qui, nella nostra situazione straordinaria. Voi avete continuamente distolto i vostri sguardi da essa; ma io ho dimostrato ciò che era chiaro a tutto il mondo, che l'attuale proposta di guerra è il risultato di un progetto macchinato da tempo dai nemici in- terni della nostra libertà, ve ne ho mostrato gli scopi, ve ne ho indicato i mezzi d'esecuzione, altri vi hanno dimostrato che essa non è altro che una manifesta insidia, un oratore, membro dell'Assemblea costituente, vi ha detto a questo proposito certe verità,di fatto molto importanti, non vi è persona ché non si sia accorta di questa insidia al pensiero che coloro che avevano costantemente protetto l'emigrazione e gli emigrati ribelli si proponevano di dichiarare guerra ai loro protettori e nello stesso tempo difendevano ancora i nemici dell'interno ad essi confederati. Voi stessi avete convenuto che la guerra -piaceva agli emigrati, che piaceva al ministero, agli intriganti di corte, alla numerosa fazione i cui capi ben noti dirigono da tempo tutti i passi del potere esecutivo, le trombe dell'aristocrazia e del governo tutte insieme ne danno il segnale; infine chiunque negasse che la condotta della corte sia stata dall'inizio della rivoluzione sempre in contrasto coi principi dell'eguaglianza e coi rispetto per i diritti del popolo sarebbe considerato come un insensato se fosse in buona fede; chiunque dicesse che la corte propone una misura così decisiva come la guerra senza metterla in rapporto al suo piano, darebbe un'idea ancor meno buona dei suo giudizio. Ebbene, potete dire che sia indifferente per il bene dello Stato che l'impresa della guerra sia diretta dall'amore della libertà o dallo spirito di dispotismo, dalla fedeltà o dalla perfidia? Eppure cosa avete risposto a tutti questi fatti decisivi? Cosa avete detto per dissipare tanti giusti sospetti? La vostra risposta al punto che è il principio fondamentale di tutta la discussione permette di giudicare tutto il vostro sistema.

LA RIVOLUZIONE NON SI ESPORTA.

E' nella natura delle cose che la marcia della ragione sia lentamente progressiva. Il governo peggiore trova un appoggio potente nei pregiudizi, nelle abitudini, nell'educazione dei popoli. Lo stesso dispotismo deprava lo spirito degli uomini fino a farsi adorare e fino a rendere la libertà so- spetta e terrificante a prima vista. L'idea più stravagante che possa nascere nella testa di un uomo Politico è quella di credete che sia suffIciente per un popolo entrare a mano armata nel territorio di un popolo straniero per fargli adottare le sue leggi e la sua costituzione. Nessuno ama i missionari armati, il primo consiglio che danno la natura e la prudenza è quello di respingerli nemici. [...]

Prima che gli effetti della rivoluzione si facciano sentire sulle nazioni straniere bisogna che essa sia consolidata. Voler dare la libertà ad altre nazioni prima di averla conquistata noi stessi, significa garantire insieme la servitù nostra e quella del mondo intero. Pensare che quando un popolo si dà una costituzione tutti gli altri rispondano nello stesso istante a questo segnale, vuol dire formarsi un'idea esagerata e assurda delle cose. L'esempio dell'America, che voi avete citato, sarebbe stato sufficiente a spezzare le nostre catene, se il tempo e il concorso delle circostanze più fortunate non avessero avvicinato insensibilmente questa rivoluzione? La dichiarazione dei diritti non è la luce del sole che illumina tutti gli uomini nella stesso istante, non è la folgore che colpisce nello stesso tempo tutti i troni. E' più facile scriverla sulla carta o inciderla nel bronzo che ristabilire nel cuori degli uomini i suoi caratteri cancellati dall'ignoranza, dalle passioni e dal dispotismo. Che dico? Essa non è misconosciuta- calpestata, ignorata tutti i giorni perfino in mezzo a voi che l'avete promulgata? Dov'è l'uguaglianza dei diritti fuorché nei principi della nostra costituzione? Non rialza la sua testa schifosa il dispotismo, l'aristocrazia risuscitata sotto nuove forme? Non opprime essa ancora la debolezza, la virtù, l'innocenza in u nome della legge e della stessa libertà? Assomiglia tanto a sua madre la costituzione che si è detta figlia della dichiarazione dei diritti? Che dico? Questa vergine, un tempo raggiante di una beltà celeste, è ancora simile a se stessa? Non è uscita illividita e insudiciata dalle mani impure della coalizione che turba e tiranneggia oggi la Francia e alla quale non manca che l'adozione delle perfide misure che io combatto in questo momento per realizzare i suoi perfidi progetti? Come potete dunque credere che nello stesso momento in cui i nostri nemici interni avranno deciso per la guerra, essa opererà i prodigi che non ha potuto ancora operare in mezzo a noi?

IL CAMMINO DELLA RIVOLUZIONE

Sono ben lontano dal pretendere che la nostra rivoluzione non inluirà sulla sorte del Inondo in seguito, forse anche più presto di quanto le apparenze attuali sembrino annunciare. A Dio non piaccia che rinunci ad una speranza così dolce! Ma io sostengo che in questo momento ciò non può ancora avvenire; sostengo che per lo meno non ve n'è alcuna prova e che non bisogna mettere a repentaglio la nostra libertà, sostengo che per eseguire con successo una simile impresa in qualsiasi tempo lo si faccia, occorre volerla, mentre il governo che avrebbe esserne incaricato e i suoi agenti non la vogliono e l'hanno dichiarato chiaro e tondo. Infine volete un sicuro contravveleno a tutte le illusioni che vi si presentano? Riflettete seriamente sul cammino naturale delle rivoluzioni. Negli Stati costituiti, come sono quasi tutti i paesi d'Europa, vi sono tre potenze: il monarca, gli aristocratici e il popolo (ma veramente il popolo non conta nulla). Se in questi paesi scoppia una rivoluzione, non può essere che graduale. Essa comincia con l'azione dei nobili, dei clero, dei ricchi, e il popolo l'appoggia quando i suoi interessi si accordano coi loro per resistere all'oppressione della potenza dominante, ossia dei monarca. Così in mezzo a voi sono stati i parlamenti, i nobili, il clero, i ricchi che hanno dato la spinta alla rivoluzione; dopo è comparso il popolo. Essi se ne sono pentiti o per lo meno hanno voluto fermare la rivoluzione, quando hanno visto che il popolo poteva riconquistare la sua sovranità; ma sono loro che l' hanno cominciata; senza la loro resistenza e i loro calcoli sbagliati la nazione, sarebbe ancora sotto il giogo del dispotismo. Basandovi su questa verità storica e morale, potete giudicare quanto poco potete fare assegnamento sulle nazioni d'Europa in generale; infatti gli aristocratici di queste nazioni sono altrettanto nemici dei popolo e dell'eguaglianza quanto i nostri e, ben lontano dal dare il segnale dell'insurrezione, sono stati avvertiti dal nostro stesso esempio e si sono alleati col governo come i nostri, per mantenere il popolo nell'ignoranza e nelle catene e per sfuggire alla dichiarazione dei diritti. [...]

"RIMETTETE ORDINE IN CASA VOSTRA PRIMA DI PORTARE LA LIBERTA IN CASA D'ALTRI ".

Prima di smarrirvi nella politica e negli Stati dei principi d'Europa, cominciate a puntare i vostri sguardi sulla vostra situazione interna; rimettete ordine in casa vostra prima di portate la libertà in casa d'altri. Ma voi non volete essere minimamente infastiditi da questi pensieri, come se per i grandi politici non valessero le regole più elementari del buon senso. Rimettere ordine nelle finanze arrestarne la dilapidazione, armare il popolo e le guardie nazionali, fare tutto ciò che il governo ha voluto impedire finora, per non dover temere né gli attacchi dei nostri nemici né gli intrighi ministeriali, rianimare lo Spirito pubblico e risvegliare l'orrore della e tirannia, che solo può renderci invincibile contro tutti i nemici, con leggi benefiche, con un comportamento energico, dignitoso e saggio, tutto ciò non è che un insieme di idee ridicole. La guerra, la guerra, poiché la chiede la corte; questa decisione dispensa da ogni altra preoccupazione; Si è a posto nei riguardi del popolo, quando gli si dà la guerra; guerra contro i nemici indicati dalla corte nazionale e contro i principi tedeschi, fiducia, idolatria per i nemici interni. Ma cosa dico? ne abbiamo poi di nemici interni? No, voi non ne conoscete; voi non conoscete che Coblenza. Non avete detto che il focolaio della malattia è a Coblenza? Ma esso non è dunque a Parigi? Non vi è dunque relazione fra Coblenza e un altro luogo che non è troppo lontano da noi? Avete il coraggio di dire che ciò che ha fatto retrocedere la rivoluzione è la paura che ispirano alla nazione gli aristocratici fuggiaschi che essa ha sempre disprezzato, e poi vi aspettate da questa nazione prodigi di ogni genere! Sappiate dunque che a giudizio di tutti i francesi di buon senso la vera Coblenza è in Francia, che quella dei vescovo di Treviri non è che una delle leve di una grossa macchinazione contro la libertà, il cui centro, i cui capi sono in mezzo a noi, Se ignorate queste cose vuoi dire che tutto ciò che avviene in questo paese vi è estraneo. Se le sapete, perché le negate? Perché distogliere l'attenzione pubblica dai nostri più temibili nemici per fissarla su altri oggetti, per condurci nella trappola in cui essi ci attendono? [ ...]

PERICOLI DELLA GUERRA.

Come ho già detto, durante la guerra esterna gli avvenimenti militari distraggono il popolo dalle deliberazioni politiche che interessano le basi essenziali della sua libertà e fanno sì che esso presti minore attenzione alle sorde manovre degli intriganti che le minano e del potere esecutivo che le scuote, alla debolezza e alla corruzione dei rappresentanti che non le difendono. Questa politica fu adoperata in tutti i tempi, checché ne abbia detto il signor Brissot, l'esempio degli aristocratici di Roma è indicativo ed espressivo in questo senso. Quando il popolo reclamava i suoi diritti contro le usurpazioni del senato e dei patrizi, il senato dichiarava la guerra; e il popolo dimenticando i suoi diritti e gli oltraggi ricevuti, si occupava sol. tanto della guerra, lasciava al senato tutto il suo potere e preparava nuovi trionfi ai patrizi. La guerra è buona per gli ufficiali militari, per gli ambiziosi, per gli agitatori che speculano su questo genere di avvenimenti; è buona per la coalizione dei nobili, degli intriganti, dei moderati che governano la Francia. Questa fazione può mettere i suoi eroi e i suoi membri alla testa dell'esercito; la corte può affidate le forze dello Stato agli uomini che all'occasione possono servirla con tanto maggior successo quanto più saranno riusciti a conquistarsi una specie di reputazione di patriottismo; essi si guadagneranno il cuore e la fiducia dei soldati per legarli più fortemente alla causa del realismo e del moderatismo.


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Titolo: Discorso contro la guerra (2 gennaio 1792)


Tipo di fonte: Storica
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Autore: Robespierre
Fonte:
Testo: Qui non c'è da fare un processo. Luigi non è un imputato; voi non siete dei giudici; Voi siete e non potete essere altro che uomini di Stato e rappresentanti della nazione. Non dovete emettere una sentenza a favore o contro un uomo, dovete prendere una misura di salute pubblica, dovete compiere un atto di provvidenza nazionale. In una repubblica un re detronizzato non può servire che a due scopi, o a turbare la tranquillità dello Stato e a mettere in pericolo la libertà; o a rafforzare l'una e l'altra. Ebbene io sostengo che il carattere che hanno avuto finora le vostre deliberazioni va direttamente contro questo secondo scopo. là effetti, qual è la decisione che una sana politica prescrive per consolidare la repubblica nascente? Quella di imprimere profondamente nei cuori il disprezzo per la monarchia e di impressionare tutti i partigiani dei re. Pertanto, presentare a tutto il mondo il suo delitto come un problema, fare della sua causa l'oggetto della discussione più impegnativa, più sacra, più difficile alla quale possano accingersi i rappresentanti dei popolo francese, mettere una distanza incommensurabile fra il ricordo di ciò che egli fu e la semplice dignità di un cittadino, significa precisamente aver trovato il segreto per renderlo ancora pericoloso per la libertà. Luigi fu re, e la repubblica è stata fondata; la famosa questione che vi impegna è decisa da queste sole parole. Luigi è stato detronizzato per i suoi delitti; Luigi ha denunciato il popolo francese come ribelle e ha chiamato in suo aiuto per castigarlo, le armi dei confratelli tiranni. La vittoria del popolo ha deciso che soltanto lui era ribelle. Luigi non può dunque essere giudicato: è già giudicato. O egli è già condannato, oppure la repubblica non è assoluta. Proporre di fare il processo a Luigi XVI in questa o quella maniera, vuol dire retrocedere verso il dispotismo monarchico e costituzionale; è un'idea controrivoluzíonaria, poiché mette in discussione la rivoluzione stessa. In effetti se Luigi può essere ancora oggetto di un pro- cesso, Luigi può essere assolto; può essere innocente. Cosa dico? E' supposto innocente fino a che non sia stato giudicato. Ma se Luigi viene assolto, se Luigi può essere supposto innocente, che ne è della rivoluzione? Se Luigi è innocente, tutti i difensori della libertà diventano dei calunniatori. Tutti i ribelli erano dunque amici della verità e difensori dell'innocenza oppressa; tutti i manifesti delle corti straniere sono legittime proteste contro una fazione dominante. La stessa detenzione che Luigi ha subito finora è un'ingiusta vessazione. I federati, il popolo di Parigi, tutti i patrioti della nazione francese sono i veri colpevoli. li grande processo che è in corso al tribunale della natura fra il delitto e la virtù, fra la libertà e la tirannia, vien deciso una buona volta a favore dei delitto e della tirannia. Cittadini, state in guardia; su questo punto voi venite ingannati da false nozioni; confondete le regole del diritto civile e positivo coi principi del diritto delle genti; confondete le relazioni dei cittadini fra di loro coi rapporti della nazione verso un nemico che cospira contro di lei, confondete ancora la situazione di un popolo in fase rivoluzionaria con quella di un popolo il cui governo sia saldamente affermato; confondete una nazione che punisce un funzionario pubblico mantenendo la stessa forma di governo con quella che distrugge il governo. […] 

 Quando una nazione è stata costretta a ricorrere al diritto di insurrezione, essa rientra nello stato di natura nei confronti del tiranno. [...] Il processo al tiranno è l'insurrezione; il suo giudizio è la caduta della sua potenza, la sua pena è quella richiesta dalla libertà del popolo. [...] I popoli non giudicano come le corti giudiziarie, non emettono sentenze: lanciano la loro folgore; non condannano i re: li piombano nel nulla. Questa giustizia vale quanto quella dei tribunali. Se i popoli si armano contro i loro oppressori per la propria salvezza, come possono essere tenuti ad adottare un modo di punirli che sarebbe un nuovo pericolo per essi? Ci siamo lasciati indurre in errore da esempi stranieri che non hanno nulla a che fare con noi. Che Cromwell abbia fatto giudicare Carlo I da un tribunale di cui poteva disporre, che Elisabetta abbia fatto condannare Maria di Scozia nella stessa maniera, è naturale: i tiranni che sacrificano i loro simili non al popolo, ma alla loro ambizione, cercano naturalmente di ingannare l'opinione dei volgo mediante forme illusorie. In questo caso non sono in questione né principi, né la libertà, ma la furberia e gli intrighi. Ma il popolo! quale altra legge può seguire il popolo se non quella della giustizia e della ragione sostenute dalla sua onnipotenza? [...] Quanto a me abborro la pena di morte istituita dalle vostre leggi e non ho per Luigi né amore né odio. odio solo i suoi delitti. lo ho chiesto l'abolizione della pena di morte all'assemblea che chiamate ancora costituente e non è colpa mia se i primi principi della ragione le sono sembrati eresie morali e politiche. Ma se voi non vi siete mai sognati di reclamarli in favore di tanti poveri diavoli i cui delitti sono meno imputabili a loro che al governo, per quale fatalità ve ne ricordate soltanto quando si tratta di patrocinare la causa del più grande dei criminali? Chiedete un'eccezione alla pena di morte proprio per il solo caso che può legittimarla? SI, la pena di morte in generale è un delitto e ciò per l'unica ragione che essa non può essere giustificata in base ai principi indistruttibili della natura, salvo il caso in cui sia necessaria alla sicurezza degli individui o dei corpo sociale. Ebbene, la sicurezza pubblica non lo richiede mai contro i delitti ordinari, perché la società può sempre prevenirli con altri mezzi e mettere il colpevole nell'impossibilità di nuocerle. Ma quando si tratta di un re detronizzato nel cuore di una rivoluzione tutt'altro che consolidata dalle leggi, di un re il cui solo nome attira la piaga della guerra sulla nazione agitata, né la prigione, né l'esilio, possono rendere la sua esistenza indifferente alla felicità pubblica, e questa crudele eccezione alle leggi ordinarie che la giustizia ammette può essere imputata soltanto alla natura dei suoi delitti. lo pronuncio con rincrescimento questa fatale verità. lo vi propongo di decidere seduta stante la sorte di Luigi. Per lui, io chiedo che la Convenzione lo dichiari da questo momento traditore della nazione francese e criminale verso l'umanità; chiedo che essa dia al mondo un grande esempio nello stesso luogo dove sono motti il 10 agosto i generosi martiri della libertà. lo chiedo che questo memorabile avvenimento sia consacrato da un monumento destinato a nutrire nel cuore dei popoli il sentimento dei loro diritti e l'orrore dei tiranni, e nell'anima dei tiranni il terrore salutare della giustizia dei popolo.

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Titolo: Discorso per la condanna a morte di Luigi XVI (3 dicembre 1792)


Tipo di fonte: Storica
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Autore: Il Terzo stato del siniscalcato di Draguignan
Fonte: Cahiers de Doléance
Testo:

Qui il povero non ha il diritto di fare del fuoco nella sua casa per sottrarsi alle morse del freddo, se non l'acquista a caro prezzo dal signore, con un tributo che grava sulla sussistenza sua e su quella della sua famiglia. Questa imposta inumana esiste a Brovès con la denominazione di diritto di focatico. Qui il lavoratore non ha nemmeno il diritto di nutrire le proprie bestie con l'erba che cresce nel suo campo; se egli la tocca viene denunciato e punito con un'ammenda che lo rovina; e l'esercizio legittimo dei diritti della sua proprietà è subordinato alla volontà arbitraria del signore, che ha la pretesa del diritto universale su tutti i pascoli del territorio. Questo diritto barbaro esiste a Ramaluette e in molti altri luoghi; ovunque, infine, la libertà naturale e la libertà civile sono asservite, il commercio è soggiogato, l'uomo è schiavo, e quest'ultima parola, fin troppo esatta, indica tutta l'odiosità dei diritti contro i quali il Terzo stato protesta.

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Titolo: Sul diritto di focatico (dai Cahiers de Doléance)


Tipo di fonte: Storica
Commento:
Autore: Escarnes E. Eeauvais
Fonte: Cahiers de Doléance
Testo:

Le persone non ricavano dai loro prati la metà del raccolto che avrebbero ragione di aspettarsi, a causa della mancanza dell'acqua, di cui i signori pretendono di avere la proprietà; si chiede che questo abuso sia soppresso e che le acque vengano rese comuni.

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Titolo: L'abuso della proprietà dell'acqua dei signori (dai Cahiers de Doléance)


Tipo di fonte: Storica
Commento:
Autore: Croissy-en –Brie
Fonte: Cahiers de Doléance
Testo:

Noi non abbiamo nemmeno la libertà di eliminare i corvi, quei volatili distruttori dei prodotti delle nostre terre. Ahimè! Quanto cibo degli uomini costa il piacere della caccia! Quante terre perdono i loro prodotti per questo oneroso diritto! Bisogna sopportare in silenzio che la selvaggina mangi i nostri legumi e anche le nostre piante perfino dentro i nostri giardini, e se succede che si tenda una trappola per fermare questi animali distruttori, ben presto, in seguito al rapporto di una guardia, si è perseguiti penalmente e trascinati in prigione; il marito è tolto a sua moglie, il padre ai suoi figli, a coloro ai quali le braccia sono necessarie per la sussistenza. Se i signori vogliono procurarsi questo piacere, che essi almeno rinchiudano la loro selvaggina entro la recinzione dei loro parchi e l'estensione del loro boschi; ma che ogni individuo abbia il diritto di difendere il suo raccolto.



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Titolo: Rinchiudete la selvaggina (dai Cahiers de Doléance)


Tipo di fonte: Storica
Commento:
Autore: Pamproux
Fonte: Cahiers de Doléance
Testo:


C’è ancora un altra categoria di uomini assoggettati al duro e penoso lavoro della campagna, sono i miserabili braccianti giornalieri, la classe più indigente del Regno, che non hanno che le loro braccia per vivere e sono spesso gravati da una numerosa famiglia, che non possono lavorare nei periodi difficili, ai quali bisognerebbe alleggerire il peso delle imposte. Abbiamo un chiaro esempio di questa verità nel triste inverno che abbiamo appena trascorso, in cui la maggior parte di questi miserabili era ridotta alla miseria più nera, distesi nei loro casolari sopra un pugno di paglia, privati di tutte le cose necessarie alla vita, mentre i grandi e i ricchi si godevano nelle loro camere dorate le dolcezze di una temperatura costante.


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Titolo: La classe più indigente: i braccianti (dai Cahiers de Doléance)


Tipo di fonte: Storica
Commento:
Autore: I tre ordini del distretto di Langres
Fonte: Cahiers de Doléance
Testo:

È giunto il tempo, Sire, di porre le basi di una giusta ripartizione delle imposte tra tutti i cittadini. Questa giustizia, da lungo tempo misconosciuta, ha infine dissipato le nubi che da secoli la coprivano a causa dei pregiudizi, delle pretese, degli interessi. Essa è apparsa ai nostri occhi, in seno alle nostre disgrazie, come la nostra risorsa; e in mezzo al fermento che agita e divide gli spiriti, li ha tutti riuniti intorno a essa. Ebbene si, Sire, tutti i vostri sudditi, di ogni condizione e rango, rendono ora omaggio a questa grande verità, che l' eguaglianza proporzionale deve essere la legge dei tributi. Essi riconoscono unanimemente che tutte le proprietà devono concorrere egualmente al mantenimento del potere pubblico, che li protegge e li difende, e che, poiché l'alleggerimento per gli uni determina necessariamente l'aggravio per gli altri, appesantire il fardello dei più poveri per alleviare quello dei più ricchi è contrario sia ai principi dell'equità, sia ai sentimenti dell'umanità. Un grido generale s'innalza in tutto il regno per rivendicare questa preziosa eguaglianza: i principi del vostro sangue hanno portato questo voto ai piedi del vostro trono, i pari del vostro Regno l'hanno ripetuto, ha echeggiato in tutte le province ove gli ordini hanno avuto la facoltà di riunirsi: e noi, Sire, non appena ci raduniamo secondo i vostri ordini, ci premuriamo di unire insieme le nostre voci a tutte queste voci che vi sollecitano, ben sicuri d'interessare il vostro cuore implorando nel contempo la vostra giustizia e la vostra munificenza.

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Titolo: Una giusta ripartizione delle imposte (dai Cahiers de Doléance)


Tipo di fonte: Storica
Commento:
Autore: Saint-Quintin et Cayra (S. Limoux)
Fonte: Cahiers de Doléance
Testo:

Il clero indipendentemente dalle sue proprietà, percepisce un decimo dei frutti delle nostre terre... Quando i nostri antenati fecero, per amore o per forza, questo magnifico regalo ai loro preti, era per fornire loro i mezzi per la sussistenza e per distribuire il superfluo ai poveri; ma, ahimé! Come sono disattese le loro volontà! Il nostro curato è sordo ai gemiti dei bisognosi di cui questa parrocchia brulica. Cinque monaci consumano 24.000 lire di rendita, di cui i nostri beni fanno parte. Superbamente alloggiati, le pietanze più ricercate abbondano sulla loro tavola; le dame, la nobiltà dei dintorni vi sono ammesse; ma i poveri che si presentano alla loro porta sono cacciati ignominiosamente come esseri vili e spregevoli, che essi non riconoscono più come fratelli. Usate, Sire, di grazia, tutta la vostra potenza per eliminare questi monaci che hanno fatto voto di povertà e che traboccano di ricchezze; sono sanguisughe divoranti, piante parassite; ed è presso di loro che Vostra Maestà troverà uno dei mezzi per restaurare le sue finanze. Che i nostri preti non s'immischino più negli affari temporali; che essi siano incessantemente occupati ad attirare su di noi le benedizioni celesti; che essi si astengano dal voler dominare alle assemblee nazionali, che essi si limitino a vivere della carità dei fedeli, è la loro istituzione: allora si potrà perdonare loro di qualificare come dono gratuito ciò di cui faranno dono allo Stato.

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Titolo: Preti sanguisughe (dai Cahiers de Doléance)


Tipo di fonte: Storica
Commento:
Autore: Artigiani di Pont-L'Abbe
Fonte: Cahiers de Doléance
Testo:

Che tutte le abbazie siano soppresse a favore di Sua Maestà per pagare il debito nazionale.

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Titolo: Tutte le abbazie siano soppresse (dai Cahiers de Doléance)


Tipo di fonte: Storica
Commento:
Autore: Pont-Croix (S. Quimper)
Fonte: Cahiers de Doléance
Testo:

Che gli immensi redditi dei monaci, spillati per lo più alla superstizione nei secoli dell'ignoranza, siano annessi ai fondi dello Stato e utilizzati per l'estinzione dei suoi debiti, e che i membri delle comunità soppresse siano più utilmente impiegati al servizio delle parrocchie delle campagne, ove ci si lamenta per la scarsità di preti. ...Che le enormi retribuzioni assegnate alle abbazie, ai vescovati, agli arcivescovati e gli altri benefici ecclesiastici siano ridotti per coloro che ne godono a una onesta pensione, e che l'eccedenza sia aggiunta al redditi dello Stato.

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Titolo: Sugli immensi redditi dei monaci (dai Cahiers de Doléance)