Repubblica di Weimar e ascesa del nazismo

1. La Repubblica di Weimar

La Repubblica di Weimar in Germania venne proclamata il 9 novembre 1918, dopo la sconfitta della Germania nella Prima guerra mondiale e la caduta dell’Impero tedesco. La Costituzione della Repubblica di Weimar prevedeva il suffragio universale sia maschile che femminile, l’elezione diretta del Presidente e la responsabilità del Governo di fronte al Parlamento. La situazione politica della Repubblica di Weimar era caratterizzata da una forte instabilità politica: l’opinione pubblica borghese, in particolare, nutriva diffidenza per un sistema democratico che considerava indissolubilmente associato alla sconfitta e all’onere delle riparazioni (Il Trattato di Versailles).

All’inizio del 1923 Francia e Belgio occuparono la Ruhr, regione vitale per l’economia tedesca. In Germania la crisi precipitò e l’inflazione raggiunse livelli impensabili. Vi furono tentativi insurrezionali da parte dell’estrema sinistra (Amburgo) e dell’estrema destra (Monaco, novembre 1923).

A partire dall’estate 1923 il governo presieduto da Gustav Stresemann avviò una politica di stabilizzazione monetaria e di riconciliazione con la Francia.

Grazie al piano Dawes del 1924, la Germania poté fruire di prestiti internazionali – soprattutto statunitensi – che le avrebbero consentito una rapida ripresa economica.
Con il piano Dawes iniziava una fase di distensione, confermata dagli accordi di Locarno del 1925, che normalizzavano i rapporti franco-tedeschi.

Nel 1926 la Germania fu ammessa alla Società delle nazioni e, due anni dopo, i rappresentanti di quindici stati, fra cui Germania e Unione Sovietica, firmarono un patto con cui si impegnavano a rinunciare alla guerra come mezzo per risolvere le controversie (patto Briand-Kellog).

Nel 1929 il piano Young, che sostituì il piano Dawes, ridusse ulteriormente l’entità delle riparazioni tedesche e ne graduò il pagamento in sessant’anni. Questa stagione di concordia, tuttavia, si interruppe bruscamente all’inizio degli anni 1930 in coincidenza con il crollo della borsa di New York, che causò una crisi economica mondiale.

In Germania le conseguenze della crisi si fecero sentire più che in ogni altro Stato europeo, a causa della stretta integrazione fra l’economia statunitense e quella tedesca, ancora gravata dall’onere delle riparazioni.

La crisi mise in gravi difficoltà il governo di coalizione allora guidato dai socialdemocratici, provocando un dissenso insanabile fra il partito socialdemocratico e i partiti di centro-destra circa il destino dei servizi sociali statali, che i moderati volevano ridimensionare sensibilmente.

Nel marzo 1930 la guida del governo passò al leader del Centro cattolico Heinrich Brüning, che attuò una severissima politica di sacrifici, anche allo scopo di rivelare al mondo l’intollerabile onere che la Germania era condannata a sopportare per tenere fede all’obbligo delle riparazioni.

Lo scopo fu in parte raggiunto nel 1932 quando una conferenza internazionale ridusse sensibilmente l’entità delle riparazioni e ne sospese il versamento per tre anni (trascorsi i quali, comunque, i pagamenti non furono mai ripresi). Ma intanto la politica di Brüning aveva prodotto ben più tragici risultati: 6 milioni di lavoratori disoccupati e il movimento nazionalsocialista, in rapida ascesa, seppe sfruttare abilmente il disagio e il risentimento largamente diffusi nella popolazione.

Tra il 1932 e il 1933 i socialdemocratici persero la maggioranza in Parlamento e i Tedeschi dovettero tornare tre volte alle urne. In queste votazioni il Partito Nazionalsocialista si affermò come primo partito tedesco.

Il 30 gennaio 1933 il Presidente dell Repubblica Paul Hindenburg nominò Adolf Hitler Cancelliere, cioè Capo del Governo.