La Guerra Fredda

8. La morte di Stalin e la distensione

Nel 1953 Stalin muore e tre anni dopo, al XX congresso del Partito Comunista, il nuovo segretario del PCUS, Kruscev, denuncia al mondo tutti i suoi crimini e il regime di terrore che aveva costruito durante i suoi vent'anni al potere.

In molti paesi dove il comunismo era stato imposto con la forza scoppiarono ribellioni: Polonia e Ungheria (1956) e Cecoslovacchia (1968).

Se il Polonia fu fatta qualche concessione, il Ungheria la rivolta fu soffocata nel sangue.

In Cecoslovacchia fu il capo del governo stesso, il comunista Dubcek, che cercò di attuare qualche riforma (questa breve stagione politica è nota alla storia come Primavera di Praga) ma l'invio dei carri armati sovietici mise fino alle sue speranze e fu incarcerato. 

Se l'URSS e i suoi paesi satelliti continuarono a essere governati con fermezza dal PCUS di Mosca, il comunismo entra in crisi in occidente. Dopo le rivelazioni dei crimini di Stalin e le repressioni di Budapest e Praga, tra i comunisti occidentali ci si chiede se effettivamente in questi paesi erano stati realizzati i sogni di libertà e giustizia dei lavoratori. Molti partiti comunisti occidentali cominciarono a rendere sempre più deboli i loro rapporti con Mosca.

Almeno sul piano internazionale, però, dal 1960, con l'elezione di Kennedy, presidente degli Stati Uniti, si realizza con l'URSS un programma di coesistenza pacifica. Entrambe le potenze prendono atto che è da evitare la risoluzione dei loro rapporti tramite un conflitto nucleare (cosa che stava per succedere proprio tra il 1961 e il 1962 a causa dell'installazione di missili russi nell'isola di Cuba). Questa distensione non mise fine alla rivalità tra i due paesi che anzi resta accesa e comporterà comunque molte guerre "periferiche" (come la guerra in Corea) per il controllo di quei paesi che, ottenendo l'indipendenza dopo aver fatto parte dei grandi imperi coloniali, dovevano decidere se allearsi nel blocco occidentale o in quello sovietico.