La poetica

 

 

Una scienza produttiva è una scienza che ha come oggetto qualcosa che "sopravvive" al produttore (a differenza delle pratiche dove l'azione non può essere separata da chi la compie). Nel caso della poetica l'oggetto è l'arte o, meglio, il prodotto artistico. Questa scienza ha quindi il compito di indagare quali siano i principi e le condizioni che rendono un prodotto arte da qualcosa che non lo è e, stabiliti questi, quale la logica che porta alle conclusioni che rispettino la finalità dell'arte: la purificazione dell'anima (catarsi).

Le scienze produttive sono scienze del possibile (ciò che può essere ma anche non essere), nel caso dell'arte chiameremo questo "possibile": "verosimile", cioè simile al vero (ma non vero!).

Le tre unità

Nel primo libro (e unico che conosciamo) della Poetica si parla della tragedia. La tragedia è la forma più alta di arte perché le racchiude un po' tutte: lirica, musica, pittura, scultura. Aristotele identifica per la tragedia tre leggi, dette le tre unità. Queste tre leggi, al di là del contenuto, sono interessanti sia per la forma che per il "senso" che hanno.

Formalmente l'identificare che un prodotto artistico debba avere delle leggi si traduce con: un prodotto artistico per essere tale deve essere accessibile alla ragione di chi la contempla, deve seguire rigore logico (anche perché altrimenti non sarebbe una scienza).

Il senso delle tre unità è questo: il dramma deve mettere lo spettatore nella condizione di potersi immedesimare (mimesi) nel prodotto artistico, rivedere se stesso sulla scena, rivedersi nei personaggi in scena. Cosa dicono infatti le tre unità:

  • Unità di spazio: tutta la rappresentazione deve avvenire in unico luogo
  • Unità di tempo: idem come sopra per il tempo (un arco temporale senza salti)
  • Unità di azione: tutto ciò che si svolge deve avere un unico fine. Questa unità è forse l'unica attualmente ancora abbastanza rispettata. A livello cinematografico è come dire che nella trama di un film non ci devono essere "tempi morti" ma che tutto quello che si fa vedere deve essere funzionale al film e a quello che vuole raccontare o al problema che vuole risolvere.
Mimesi

Se tutte le unità sono rispettate (o, aggiungiamo noi, almeno l'ultima) la tragedia permette allo spettatore di identificarsi con i protagonisti della scena.

Ma se la scena rappresentata è palesemente fittizia in cosa mi immedesimo? Secondo Aristotele tramite la parte sensitiva dell'anima con la volontà. I personaggi mettono in scena non loro stessi ma la loro volontà, che è umana, e in essa rivedo la mia come spettatore altrettanto umano. Riconosco e ritrovo passioni che ho vissuto o anche che non ho vissuto ma che potrei vivere: scopro qualcosa di me e ne risveglio ne emozioni.

La tragedia dunque, o l'arte in genere, serve a far provare emozioni. Su questo era d'accordo anche Platone e per questo ne fuggiva ma per Aristotele il provare emozioni è un fine desiderabile perché l'uomo non può non provarle (poiché non può rinunciare alla sua parte sensitiva e quindi alle influenze del mondo esterno e alla volontà) e quindi, essendo necessario "scaricarle", meglio farlo attraverso la rappresentazione artistica che nella vita reale.

Purificazione

Da qui il fine dell'arte: la catarsi, intesa come purificazione dell'anima (sensitiva) dalle passioni. Una anima sensitiva libera dalle passioni e pulsioni è più facilmente indirizzabile dall'anima intellettiva (realizzando più facilmente le virtù etiche).

Se immaginiamo un magistrato in una polis che deve giudicare un imputato e che abbia due ore libere prima del processo, possiamo chiedere a Platone e Aristotele se consigliano lui di aspettare andando prima al cinema dove proiettano il film di "Rambo". Platone direbbe assolutamente no, perché la visione del film ne offuscherebbe la parte razionale e il magistrato finirebbe per giudicare non secondo giustizia ideale; Aristotele invece gli comprerebbe il biglietto lui perché la visione di quel film sarebbe perfetta per scaricare tutte le passioni che un magistrato vivrebbe nella sua vita reale (avendo a che fare con delitti magari violenti) e che sono inevitabili ma lo farebbe appunto al cinema, non al processo. Una volta scaricate le tensioni sensibili potrà esercitare meglio il controllo della volontà e quindi dedicarsi alla virtù etica che più deve accompagnare il lavoro del magistrato: la giustizia.

Conclusioni

Riassumendo possiamo dire che la poetica è una scienza perché cerca, con prodotti artistici dotati di una coerenza interna (logica) di mostrare agli uomini loro stessi, le loro volontà e di suscitare in essi emozioni che possano alleggerire il loro carico di passioni accumulate nella anima sensitiva.

Attraverso l'arte l'uomo può vivere vite che non vivrebbe, con una coerenza che nella vita reale non può avere e soprattutto con quell'unità di azione sulla quale nella vita reale non possiamo concentrarci perché la vita reale è inconsistente e piena di "tempi morti".

Per questo Aristotele sottolinea che l'arte è superiore anche alla Storia (che scienza non è). La storia, secondo Aristotele, infatti, non è altro che un elenco di fatti che assomiglia, per questo alla vita reale (forse, una interpretazione moderna di Storia si avvicinerebbe molto di più all'idea di Scienza che Aristotele ha, ma questo è un altro capitolo).

Presentazione google con mappa concettuale

Ultime modifiche: venerdì, 20 marzo 2020, 18:24